Videoriprese sui luoghi di lavoro (di Luca Gessaroli)

Sono utilizzabili nel processo penale, ancorché imputato sia il lavoratore subordinato, i risultati delle videoriprese effettuate con telecamere installate all'interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro per esercitare un controllo per tutelare il patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, in quanto le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non proibiscono i cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l'esistenza di un divieto probatorio (Cass. Pen. Sez. II, 16 gennaio 2015 n. 2890, CED Cass.) IL CASO. Il caso sottoposto all’esame della Corte riguardava la vicenda in cui il proprietario di un negozio, in seguito a taluni furti, provvedeva ad installare una telecamera nascosta e puntata verso la cassa, così riprendendo, in più occasioni, una dipendente intenta a prelevarvi somme di denaro ricevute dai clienti. In base a tali risultanze, pertanto, la medesima veniva tratta a giudizio e condannata per appropriazione indebita. L’argomento giuridico invocato dalla difesa per censurare le unanimi pronunce dei giudici di merito è stato di natura squisitamente processuale: l’inutilizzabilità dei risultati delle videoriprese per violazione degli artt. 4 e 18 della legge n. 300 del 1970 (cd. Statuto dei Lavoratori). La Corte, nel rigettare la questione, ha dato continuità all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui sono processualmente utilizzabili le videoriprese effettuate dal datore di lavoro per accertare comportamenti potenzialmente delittuosi e non, invece, per esercitare un controllo a distanza dei lavoratori. Ne consegue, secondo tale impostazione, che i risultati delle videoriprese sono pienamente acquisibili ed utilizzabili come documenti ex art. 234 c.p.p. La pronuncia, seppur concisamente, lambisce un tema di sempre maggiore attualità, cioè a dire l’ausilio tecnologico nell’accertamento della verità, sia processuale che extraprocessuale, e i correlativi limiti VIDEORIPRESE SUI LUOGHI DI LAVORO (NOTA A CASS. PEN. N. 2890/2015) (*) Luca Gessaroli Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 2 di 9 rinvenibili nel sistema positivo a tutela dei diritti dei soggetti “osservati”. Occorre pertanto brevemente ricostruire il sistema pretorio delle videoriprese, per poi analizzare più nello specifico il caso in esame. VIDEORIPRESE SUI LUOGHI DI LAVORO. NATURA DELLO STRUMENTO. La sentenza in commento si iscrive in un orientamento già espresso in altre occasioni dalle sezioni penali della Corte di Cassazione1 . Il tema è peraltro di particolare interesse, poiché impone un’analisi necessariamente multidisciplinare che involge il sistema giuslavoristico e quello processualepenale, nonché fonti di rango secondario, rappresentate dai provvedimenti del Garante della privacy. Anzitutto,occorre preliminarmente indagare la natura dei risultati delle videoriprese effettuate in autonomia dal datore di lavoro sui luoghi di lavoro stessi. Trattasi, come è evidente, di (*) Il presente contributo è stato oggetto di positiva valutazione da parte del Comitato Scientifico. 1 Relativa allo stesso caso di specie è Cass. pen., 1 giugno 2010, n. 20722, n. 20722, in C.E.D. Cass., n. 247588, che, pur qualificando come privata dimora il luogo di lavoro ai sensi dell’art. 614 c.p., ha ritenuto che non abbiano carattere illecito, ai sensi degli artt. 189 e 191 c.p.p., le prove documentali rappresentate da riprese audiovisive effettuate nei locali aziendali, anche al di fuori dei limiti previsti dall'art. 4 della l. n. 300 del 1970 quando le stesse siano state eseguite non al fine di controllare l'attività del lavoratore ma al solo fine di salvaguardare il patrimonio aziendale dalle offese altrui, ivi compresi i lavoratori medesimi, perché le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza, non fanno divieto dei cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l'esistenza di un divieto probatorio. Nello stesso senso; Cass. pen., 26 marzo 2008, n. 26597, in D.p.l., 2009, p. 317; Cass. pen., 14 dicembre 2009, n. 47429, in N. g. l., 2010, p. 185; Cass. pen, 12 luglio 2011, n. 34842, in Cass. pen.,2012, p. 1430. documenti, acquisibili in dibattimento ex art. 234 c.p.p., e non invece di atti processuali. L’atto del procedimento, infatti, è qualificabile come l’atto che persegue le finalità del procedimento e che è compiuto da uno dei soggetti in esso operanti. La relativa documentazione, come i verbali o, nel caso di specie, le videoriprese, rappresenta la mera cristallizzazione (e dunque la rappresentazione) degli atti del procedimento stesso2 . Il documento3 , invece, è la rappresentazione di fatti, persone o cose effettuata al di fuori del procedimento, anche se non necessariamente prima4 . In tale 2 Tonini, Manuale breve diritto processuale penale, 2014, Milano, p. 239, ove si legge «se l’oggetto rappresentato è un fatto o un atto del medesimo procedimento, il codice non utilizza il termine “documento”, bensì il termine “documentazione”» e che «il verbale che rappresenta un atto del procedimento, non è un “documento” bensì è una forma di “documentazione”. Per “atto del procedimento” si intende comunemente quell’atto che persegue le finalità del procedimento e che è compiuto da uno dei soggetti legittimati, e cioè il giudice, il pubblico ministero, la polizia giudiziaria (o i loro ausiliari) ed i difensori». 3 Tonini, Manuale breve, cit., p. 239 afferma efficacemente che «il codice non contiene una definizione espressa di “documento”, anche se ne fornisce un requisito positivo ed uno negativo. Il requisito positivo è indicato nell’art. 234, comma 1: perché vi sia documento è sufficiente uno scritto o altro oggetto comunque idoneo a rappresentare un fatto, una persona o una cosa. Il requisito negativo si ricava dalla sistematica del codice come, del resto, viene sottolineato espressamente dalla Relazione al progetto preliminare (p. 67). L’oggetto rappresentato deve essere un atto o un fatto differente dagli atti processuali compiuti nel procedimento nel quale il documento è acquisito». 4 Cass., Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 26795, in Cass. pen., p. 3937 che richiamando la Rel. Prog. Prel. C.p.p. vigente e la precedente giurisprudenza di legittimità in merito alla distinzione tra atti e documenti, ha sottolineato che «ai fini dell’ammissione delle prove documentali sono necessarie due condizioni: a) che il documento risulti materialmente formato fuori, ma non necessariamente prima, del procedimento; b) che lo Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 3 di 9 fattispecie processuale, disciplinata dagli artt. 234 ss c.p.p., si inscrivono, evidentemente, i risultati delle videoriprese effettuate privatamente dal datore di lavoro per tutelare propri beni aziendali. Si tratta, infatti, di attività senza dubbio connesse all’accertamento della “verità”, ma collocate al di fuori del procedimento. Ciò posto, occorre interrogarsi sulla presenza di limiti all’acquisizione dei risultati delle videoriprese del datore di lavoro effettuate a scopi difensivi. Più precisamente, occorre chiedersi se dal sistema positivo siano desumibili divieti probatori che, ai sensi dell’art. 191 c.p.p., interdicano l’utilizzabilità degli elementi probatori tratti dalle prove acquisite al fascicolo ai fini della decisione sottoposta all’esame del giudicante. Occorre pertanto procedere ad una precisa analisi delle disposizioni rilevanti. IL QUADRO NORMATIVO. La censura proposta dal ricorrente concerneva l’inutilizzabilità delle videoriprese (rectius, dei risultati delle stesse) per violazione degli artt. 4 e 38 l. 300/1970. L’art. 4, in particolare, vieta l’uso di impianti audiovisivi finalizzati al controllo «dell’attività del lavoratore» e consente la sola predisposizione di apparecchiature di registrazione richieste da esigenze organizzative, produttive o di sicurezza, pur con il previo accordo con le rappresentanze sindacali. Come stesso oggetto della documentazione extra-processuale appartenga al contesto del fatto oggetto di conoscenza giudiziale e non al contesto del procedimento». Vedi anche Focardi, Sub art. 234, in Codice di procedura penale commentato, a cura di Giarda –Spangher, I, Milano, 2010, p. 1728. acutamente osservato5 , dunque, tale disposizione, da un lato, vieta in modo assoluto i controlli preordinati ad osservare il lavoratore nello svolgimento delle sue ordinarie mansioni; dall’altro, consente i controlli per esigenze organizzative, produttive e di sicurezza, che solo indirettamente ed accidentalmente potrebbero riprendere il lavoratore nell’ambito della sua attività, a condizione che siano osservate le procedure di cui all’art. 4, co. 2, St. lav.. L’art. 38, poi, sanziona penalmente il datore che abbia violato gli artt. 2, 5, 6 e 15, co. 1 lett a) dello Statuto; come è evidente, tra le disposizioni presupposte non rientra l’art. 4 in materia di impianti di videosorveglianza. Ed invero, tale materia è regolata anche dalla disciplina legislativa posta a tutela dei dati personali e contenuta nel d.lgs. 196/2003, poiché, come ha avuto modo di sottolineare il Garante della privacy, la raccolta, la registrazione e in generale l’utilizzo di immagini configura un trattamento di dati ai sensi dell’art. 4, co. 1, lett. b), d.lgs. 196/20036 . Orbene, ciò che rileva, ai fini che qui interessano, è che, ai sensi dell’art. 171 d.lgs. 196/2003, la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 113, co. 1 e 114 d.lgs. 196/2003 è punita con le sanzioni di cui all’art. 38 dello Statuto. Dal canto loro, detti articoli dispongono rispettivamente che resta 5 Pasquarelli, Grande fratello sul luogo di lavoro: il contrasto fra sezione penale e sezione civile della Corte di Cassazione, in www.questionegiustizia.it. 6 Provvedimento in materia di videosorveglianza 8 aprile 2010, doc. web 1712680, punto 1. Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 4 di 9 fermo quanto disposto dall’art. 8 (art. 113) e dall’art. 4 dello Statuto (art. 114). Dall’intricata tela normativa, dunque, sembra trarsi che le sanzioni previste dall’art. 38 dello Statuto conseguono non solo alla violazione degli articoli dallo stesso indicati, ma anche degli articoli 8 e, per quanto qui interessa, 4. Pertanto, ne deriva ulteriormente che l’installazione di impianti audiovisivi finalizzata al controllo dei lavoratori è condotta penalmente illecita. In tale materia, infine, trova spazio anche la disciplina dettata dal Garante privacy nella sua attività normativa regolamentare. Il Garante, in particolare, ha specificato il paradigma di comportamento richiesto al datore, stabilendo che l’uso di impianti di videosorveglianza è ammesso per molteplici finalità legittime, inclusa la tutela dei suoi beni e l’acquisizione di prove, purché ciò non determini un’ingerenza ingiustificata nei diritti e nelle libertà delle persone. Pertanto, occorre che il datore o il soggetto eventualmente delegato adotti sistemi di controllo in cui la compressione dei diritti fondamentali – tra cui rientra la privacy – sia ridotta al minimo in base ai principi di necessità e proporzionalità, espressi dall’art. 3 d.lgs. 196/20037 . Infine, il Garante ha stabilito che sono espressamente vietate le videoriprese dirette a verificare l’osservanza dei doveri di diligenza stabiliti per il rispetto dell’orario di 7 Provvedimento generale del Garante in materia di videosorveglianza, 8 aprile 2010, doc web n. 1116810, punto 2. lavoro e la correttezza dell’esecuzione della prestazione lavorativa. Per altro verso, anche qualora l’osservanza sia giustificata da ragioni organizzative e di produzione, non può escludersi che la stessa capti, pur indirettamente, comportamenti dei lavoratori: per tale ragione, il Garante prescrive la necessità di osservare in ogni caso le procedure di accordi con le rappresentanze sindacali prescritte dall’art. 4, co. 2, dello Statuto8 . GLI ORIENTAMENTI. Il quadro normativo testé riportato consente ora di apprezzare con maggior rigore i contrapposti orientamenti in ordine alla utilizzabilità, nel processo penale, dei risultati di videoriprese svolte dal datore sul luogo di lavoro per cogliere eventuali illeciti ivi commessi dai suoi dipendenti. Un primo orientamento, favorevole9 , ritiene che l’installazione degli impianti di videosorveglianza ad esclusivi “scopi difensivi” sia espressione di un potere datoriale privato, fondato sulla necessità di reprimere gli abusi dei dipendenti. Inoltre, sebbene le disposizioni contenute nello Statuto dei Lavoratori 8 Invero, su tale ultimo aspetto, potrebbero esprimersi non poche perplessità in ordine alla legittimità di quanto disposto dal Garante. Infatti, nel prescrivere l’osservanza delle procedure di cui all’art. 4, co. 2, dello Statuto, il provvedimento, che ha natura regolamentare, sembra porsi in contrasto con la lettera dell’art. 4, co. 1, che al contrario esclude tale necessità nelle ipotesi in cui il controllo sia giustificato da ragioni organizzative o di produzione 9 De Luca Tamajo, Introduzione, in Tecnologie della comunicazione e riservatezza nel rapporto di lavoro, a cura di Tullini, in Tratt. GI, 2010, 4 s.; ID., I controlli sui lavoratori, in I poteri del datore di lavoro nell'impresa, a cura di Zilio Grandi, Cedam, 2002, 29 ss.; Ichino, Il contratto di lavoro, in Tratt C.M., III, 2003, 233 ss.. Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 5 di 9 siano poste a presidio della riservatezza e della dignità del lavoratore, il comportamento (penalmente) illecito di quest’ultimo, abusivo o infedele, non dovrebbe costituire un adempimento lavorativo, attenendo ad una condotta squisitamente extraprofessionale10. Si tratterebbe, in altre parole, di una condotta posta in essere in occasione delle mansioni lavorative, e non ad esse funzionale. Un diverso orientamento, invece, ritiene inutilizzabili i risultati di dette videoriprese, poiché l’esigenza di salvaguardare il patrimonio aziendale non può ritenersi prevalente rispetto alle garanzie di riservatezza e di dignità del lavoratore: «l'insopprimibile esigenza di evitare le condotte illecite da parte dei dipendenti non può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza» a tutela del lavoratore11. Di conseguenza, le garanzie procedurali ed i limiti imposti all’impiego di impianti di videosorveglianza si estendono anche ai cd. controlli a scopi difensivi, derivando da essi la concreta, seppur indiretta, possibilità di un controllo a distanza dell’attività del lavoratore. Ed invero, occorre a questo punto una precisazione. Altro è predicare l’utilizzabilità o inutilizzabilità e, ancor prima, la possibilità stessa di effettuare le 10 Tullini, Videosorveglianza a scopi difensivi e utilizzo delle prove di reato commesso dal dipendente, in Riv. It. Dir. Lav., 2011, I, p. 86; Pasquarelli, Grande fratello sul luogo di lavoro, cit.. 11Cass. sez. lav., 17 luglio 2007, n. 15892, in Riv. it. dir. lav., 2008, II, 714, nt. Vallauri, È davvero incontenibile la forza espansiva dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori? videoriprese sotto il profilo civilistico, e più precisamente giuslavoristico, ad esempio sia ai fini disciplinari sia ai fini probatori in un’eventuale azione di risarcimento danni; altro , a ben vedere, è invece l’utilizzabilità o inutilizzabilità dei risultati di dette videoriprese nel processo penale. Non stupisce, quindi, che la giurisprudenza di legittimità abbia seguito strade divergenti. Più precisamente, la Sezione Lavoro ha aderito ad ambedue gli orientamenti suesposti. Alcune pronunce, nel bilanciamento tra i contrapposti interessi della riservatezza del lavoratore e del datore di lavoro, hanno ritenuto prevalenti le seconde tutte le volte in cui si faccia questione di videoriprese eseguite a scopi difensivi del patrimonio aziendale12. Altre più recenti, invece, hanno ritenuto che in detto bilanciamento non possa che prevalere la tutela della riservatezza del lavoratore, da cui la conseguente inammissibilità delle videoriprese e la inutilizzabilità dei loro risultati anche nel processo penale a carico del dipendente13. Al contrario, la giurisprudenza penale ha sostanzialmente14 ritenuto 12 Cass. sez. lav., 14 luglio 2001, n. 9576, in Arch. Civ, 2001, p. 1120; Cass. sez. lav., 2 marzo 2002, n. 3039, in Riv. It. Dir. Lav., 2002, 4, pp. 873 ss.., Cass. sez. lav., 17 luglio 2007, n. 15892, cit., Cass. sez. lav., 10 luglio 2009, n. 16196, in C.E.D. Cass, rv. 609379. 13 Cass. sez. lav., 17 luglio 2007, n. 15892, in C.E.D. Cass, rv. 598745, Cass. sez. lav., 23 febbraio 2010, n. 4375, in Riv. It. Dir. Lav., 2010, 2, pp. 564 ss., Cass. sez. lav., 1 ottobre 2012, n. 16622, in C.E.D. Cass., rv. 624112. 14 Cass. pen., 16 ottobre 2009, n. 40199, Riv. Giur. Lav., 2010, p. 275, è forse l’unica pronuncia in senso contrario, secondo cui commette il reato contravvenzionale dell’art. 38 St. Lav. Il datore di lavoro che installi un sistema di videosorveglianza sena Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 6 di 9 dette videoriprese utilizzabili a fini probatori nel processo penale15. Secondo una lettura16, la ragione andrebbe rinvenuta nel principio di fondo seguito dalle Sezioni penali, cioè a dire la prevalenza del prioritario interesse pubblico alla prevenzione ed accertamento dei reati rispetto alla riservatezza dei dipendenti. A ben vedere, la difformità di vedute sul tema tra le Sezioni civili e penali, lungi dal disorientare, è il portato dei diversi principi che regolano l’utilizzabilità delle prove in campo penale, di cui la sentenza in commento fa (sostanziale) applicazione, pur senza chiarire esplicitamente tutti i passaggi del relativo iter logico. Risulta pertanto utile ripercorrerne il filo argomentativo. Come anticipato, i Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto dirimenti le finalità perseguite dal datore nell’installare gli impianti di ripresa visiva: in particolare, si afferma, sono utilizzabili nel processo penale le videoriprese effettuate con telecamere installate nei luoghi di lavoro per accertare comportamenti potenzialmente delittuosi. Per giustificare tale conclusione, vengono anzitutto richiamati i precedenti sul punto, secondo cui, ancorché l’imputato sia il lavoratore subordinato, sono utilizzabili nel processo penale i risultati delle la preventiva autorizzazione sindacale o amministrativa. 15, Cass. pen., 26 marzo 2008, n. 26597, in D.p.l., 2009, pp. 317 ss.; Cass. pen., 14 dicembre 2009, n. 47429, in N. g. l., 2010, pp. 185 ss.; Cass. pen., 1 giugno 2010, n. 20722, in C.E.D. Cass., rv. 247588; Cass. pen, 12 luglio 2011, n. 34842, in Cass. pen.,2012, p. 1430. 16 Tullini, Videosorveglianza a scopi difensivi, cit.. videoriprese effettuate con telecamere installate all'interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, perché le norme dello Statuto dei lavoratori, poste a presidio della loro riservatezza, non fanno divieto dei cosiddetti “controlli difensivi” del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l'esistenza di un divieto probatorio. La Corte conclude, pertanto, affermando che i risultati delle videoriprese non possono considerarsi prove illegali, illegittimamente acquisite, ex art. 191 c.p.p., bensì prove documentali, acquisibili ex art. 234 c.p.p.. A tale lettura si contrappongono alcune critiche. In particolare, si sottolinea che i controlli “a scopi difensivi” non sono espressamente previsti dal legislatore, ma sono frutto di una giurisprudenza creativa; che, in secondo luogo, l’art. 4 St. Lav. parla di «attività dei lavoratori» e non di «attività lavorativa», di talché il correlativo divieto sarebbe esteso ad ogni comportamento tenuto dal lavoratore nell’azienda. Infine, che, ad ogni buon conto, non sarebbe possibile distinguere a priori il controllo sull’attività lavorativa del dipendente dal controllo di suoi potenziali , comportamenti illeciti17. RILETTURA ALLA LUCE DELLE COORDINATE DEL CODICE: 17 Pasquarelli, Grande fratello sul luogo di lavoro, cit.; Dossi, Controlli a distanza e legalità della prova: tra esigenze difensive del datore di lavoro e tutela della dignità del lavoratore, in DRI, 2010, pp. 1155 ss.. Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 7 di 9 INUTILIZZABILITÀ E ILLEGALITÀ DELLA PROVA. In realtà, come anticipato, il peso specifico degli argomenti appena esposti è (forse) dirimente nel processo civile; lo stesso non può dirsi, però, per il processo penale. All’uopo, occorre richiamare ancora una volta un passo della motivazione della sentenza in commento per meglio esplicare la ragione, forse inconsapevole, che rende corretto ritenere i risultati di dette videoriprese utilizzabili. Il dato di interesse è il termine prova “illegale”: nella sentenza, infatti, si afferma che le videoriprese sono utilizzabili poiché non è ravvisabile in esse alcuna illegalità. In occasioni passate la Cassazione aveva impiegato il termine prove “illecite”, affermando che non hanno carattere illecito, ai sensi degli artt. 189 e 191 c.p.p., le prove documentali rappresentate da riprese audiovisive effettuate nei locali aziendali, anche al di fuori dei limiti previsti dall’art. 4 St. Lav., laddove le stesse siano state eseguite al fine di controllare l’attività del lavoratore, ma al solo fine di salvaguardare il patrimonio aziendale dalle offese altrui, ivi compresi i lavoratori medesimi18. La difformità terminologica sembra trarre linfa, forse inconsapevolmente, dal lessico rinvenibile nell’art. 240 c.p.p., che, dopo la modifica avvenuta con il d.l. 259/2006, prevede l’inutilizzabilità e distruzione delle prove cd. “illegali”, laddove rientrino nelle ipotesi ivi previste, tra cui, a ben vedere, non 18Cass., Sez. V, 1 giugno 2010, n. 20722, cit.. figurano le videoriprese19. Ciò assume particolare rilevanza: infatti la giustificazione che la Corte adduce per ammettere i risultati delle videoriprese dovrebbe passare, in realtà, proprio attraverso l’analisi dell’art. 240 c.p.p. e degli articoli che disciplinano l’utilizzabilità delle prove in campo penale. Più precisamente, secondo l’opinione maggioritaria20i divieti probatori di cui all’art. 191 c.p.p. non possono che derivare dalla stessa legge processuale21 o, al più, dal dettato costituzionale, laddove si ammetta la 19 Il novellato comma 2 dell’art. 240 c.p.p., infatti, così recita: <>. 20 Cordero, Procedura penale, Milano, 2012, p. 613; CORDERO, Prove illecite nel processo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1961, p. 38.; Cordero, Il procedimento probatorio, in Cordero, Tre studi sulle prove penali, Milano, 1963, p. 63, secondo cui l’elemento tipizzante di un divieto probatorio sia la carenza di potere istruttorio: <> e <>; Galantini, L’inutilizzabilità della prova nel processo penale, Padova, 1992, p. 35 ritiene invece che in assenza di un'espressa sanzione d'inutilizzabilità, una previsione normativa assume il ruolo di divieto probatorio se è posta a protezione di determinati interessi processuali o extraprocessuali. Occorre quindi «scoprire quando [la regola probatoria] si atteggia a strumento di tutela dell'attendibilità dell'accertamento o del diritto di difesa o di altri diritti anche costituzionalmente tutelati»; Scella, L’inutilizzabilità della prova nel sistema del processo penale, in Riv. dir. pen. proc., 1992, p. 203; Lozzi, Lezioni di procedura penale, 7° ed., Torino, 2006, p. 228. 21 In tal senso, il termine “legge” non starebbe a significare qualunque disposizione normativa di primo grado, ma solo quelle che disciplinano il processo penale e quelle che, pur di altri settori, siano dalle prime richiamate. Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 8 di 9 discussa categoria delle prove cd. incostituzionali22. Ciò comporta quindi che, di regola, l’illiceità penale, civile o amministrativa di un mezzo probatorio (si pensi al classico esempio della testimonianza resa da chi aveva il dovere di serbare un segreto professionale) non determina automaticamente l’inutilizzabilità processuale dello stesso, all’uopo occorrendo un’espressa previsione normativa23. In altre parole, occorre che il legislatore valorizzi nel settore processuale la violazione di norme sostanziali, ricollegandovi una sanzione, appunto, processuale, come l’inutilizzabilità. Ciò accadeva, ad esempio, nell’art. 226 quinques c.p.p. del codice di procedura penale previgente24. Stando così le cose, la violazione da parte del datore di lavoro dell’art. 4 St. Lav., in sé, non avrebbe alcuna efficacia sul piano dell’utilizzabilità processuale dei risultati delle videoriprese, e ciò alla luce della previsione generale contenuta nell’art. 191 c.p.p., che fa riferimento ai “divieti” stabiliti dalla legge, intesa, secondo quanto appena ricordato, come legge “processuale”. Tuttavia, proprio in quest’ottica, il richiamo all’art. 240 c.p.p., e con esso all’illegalità, assume una portata dirimente. La novella normativa del 22 Sul tema in particolare: Mainardis, L’inutilizzabilità processuale delle prove incostituzionali, in Quaderni Costituzionali, 2002, 2, p. 371 23 Marinelli, Intercettazioni processuali e nuovi mezzi di ricerca della prova, Torino, 2007, p. 137. 24 L’art. 226-quinquies c.p.p. abr. prevedeva la nullità assoluta di ogni decisione fondata su <> costituenti reato ai termini dell’art. 615-bis c.p.. 200625 in materia di cd. dossieraggio e spionaggio illegali ha infatti innovato l’art. 240 c.p.p.: in particolare, ha introdotto la nuova categoria delle prove illegali, che, se accertate come tali, sono inutilizzabili e vanno immediatamente distrutte in un apposito procedimento camerale. Sul significato del termine “illegale” la dottrina ha espresso numerose critiche26. Ad ogni buon conto, secondo la lettura più convincente – e peraltro più condivisa - il legislatore sarebbe incorso in una “svista”, impiegando il termine “illegale” in luogo di “illecito”, e che l’illiceità rilevante sarebbe solo quella derivante dalla violazione di una disposizione penale27. Ne consegue, pertanto, che laddove un soggetto estraneo al procedimento e per finalità altre ponga in essere illeciti sussumibili nelle 25 Decreto legge n. 259 del 2006, convertito con modificazioni nella legge n. 181 del 2006. 26 Manzione, Intercettazioni illegali: soluzioni davvero urgenti ed adeguate?, in Leg. pen., 2007, p. 202; Beltrani, Intercettazioni illegali: cosa cambia se il sì alla distruzione è inoppugnabile, in Dir. e giust., 2006, 36, p. 110; Bricchetti-Pistorelli, La distruzione immediata della prova rischia di ledere i diritti dell’imputato, in Guida dir., 2006, 39, p. 22; Cesari, Su captazioni e dossiers illeciti, un intervento non risolutivo, in Giur. Cost., 2009, p. 3537; Conti, Le intercettazioni “illegali”: lapsus linguae o nuova categoria sanzionatoria?, in Dir. Pen. Proc. 2007, p. 158; Conti, Intercettazioni illegali: la Corte costituzionale riequilibra un bilanciamento“claudicante”, in Dir. pen. proc., 2010, p. 196. 27 In particolare sul punto Filippi, Distruzione dei documenti e illecita divulgazione di intercettazioni: lacune ed occasioni perse di una legge nata già “vecchia”, in Dir. pen. proc., 2007, p. 152 nonché Conti, Le intercettazioni “illegali”, cit., p. 161. Secondo una certa opinione, inoltre, la novella normativa avrebbe dato viepiù prova della necessità di una espressa previsione affinché una violazione sostanziale si ripercuota sull’utilizzabilità delle prove formate: Conti, Le intercettazioni “illegali”, cit., p. 163. Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 9 di 9 fattispecie di cui all’art. 240 c.p.p., i “documenti” così formati non solo sarebbero inutilizzabili, ma andrebbero altresì tout court distrutti. Ciò posto, e venendo al caso di specie, la videosorveglianza effettuata dal datore a scopi difensivi non si configura come illecito penale in violazione del combinato disposto degli artt. 4, 38 St. Lav. e 114 e 171 d.lgs. 196/2003: infatti, l’art. 171 del d.lgs. 196/2003, nel disporre l’applicazione delle pene previste dall’art. 38 dello Statuto per la violazione dell’art. 114 d.lgs. 196/2003, che a sua volta richiama l’art. 4 St. Lav., esige che l’installazione degli impianti sia effettuata per il «controllo a distanza dell’attività dei lavoratori». Di talché, come è evidente, non solo difetterebbe l’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie, agendo il datore per finalità diverse da quelle tipizzate, ma, ancor prima, il fatto risulterebbe scriminato ex art. 51 c.p.28. Da ciò deriva che i documenti visivi confezionati dagli impianti di videosorveglianza sono processualmente utilizzabili. Tale conclusione, lo si ribadisce, dipende da ciò, che, se il controllo è posto in essere per la tutela dei beni aziendali, e non per un generico controllo dei 28 Si fa riferimento agli “offendicula”, cioè a dire quegli strumenti posti a protezione di un proprio diritto ed atti ad arrecare lesioni a terzi, ed inerenti alla titolarità di un diritto dominicale. Le videoriprese sono infatti ammissibili, poiché, seguendo i criteri elaborati dalla giurisprudenza, non sono idonee a cagionare eventi di rilevante gravita, o lesioni gravi, né ad incidere sulla incolumità di terzi e si presentano come proporzionate alle finalità perseguite. Trattasi della scriminante dell’esercizio del diritto, non potendosi configurare una legittima difesa per carenza di attualità del pericolo. lavoratori29, trattandosi di fatto penalmente lecito, il relativo risultato non rientra tra le prove “illegali” di cui l’art. 240 c.p.p. dispone l’inutilizzabilità. Resta, infine, un ultimo profilo, attinente alla tutela del domicilio: potrebbe infatti invocarsi l’inutilizzabilità delle riprese effettuate dal datore di lavoro in quanto integranti il reato di interferenze illecite ex art. 615 bis c.p. In tal caso, applicando i principi suesposti, le riprese visive si atteggerebbero come “prove illegali” ai sensi dell’art. 240 c.p.p. e, di conseguenza, andrebbero distrutte e ritenute non utilizzabili. Tuttavia, anche in questo caso, il risultato non cambierebbe. Infatti, l’esercizio di un diritto di tutela del proprio patrimonio aziendale ex art. 51 c.p. rendere non indebita la captazione di immagini sul luogo di lavoro. Sempreché, peraltro, le casse di un esercizio commerciali possano qualificarsi come “privata dimora”, ai sensi del medesimo articolo, e l’attività lavorativa qui svolta possa dirsi notizia attinente la vita privata. 29 Vedi Supra, ove si è infatti sottolineato come il legislatore, attraverso una serie di richiami normativi a cascata, sanzioni penalmente la violazione dell’art. 4 St. Lav.. Ed invero, la sussistenza del reato esige l’accertamento di tutti gli elementi richiesti dalla fattispecie, ivi compreso l’elemento psicologico qui rappresentato dal dolo specifico del controllo dei lavoratori, assente laddove esso consista nella tutela preventiva dei beni aziendali.
 

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