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GIORGIO AMBROSOLI, 40 ANNI DOPO

Ricorrendo quest’estate il quarantesimo anniversario dell’omicidio, avvenuto a Milano l’11 luglio 1979, dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, appare doveroso ricordare il valore di esempio che la professionalità e l’integrità morale dell’avvocato milanese (nel settembre 1975 nominato dalla Banca d’Italia Commissario Liquidatore della Banca Privata italiana di Michele Sindona) hanno in questi anni rappresentato, e continuano a rappresentare, per tutta l’avvocatura italiana, e non solo.

Spesso è difficile sottolineare certi concetti senza scadere nella retorica, ma riteniamo che ciò che deve essere evitata sia la vuota retorica, non l’uso di parole “alte” nel trattare princìpi e figure di altissimo livello. Del resto, tali esempi di professionalità e moralità continuano a vivere e ad avere un senso se vengono ricordati nel contesto della loro umanità e anche delle loro debolezze e non come dei “marziani” che vivono in un’altra dimensione. Per quanto difficile possa essere, la scelta compiuta dall’avv. Ambrosoli di assumersi i rischi che si sono poi concretizzati con il suo assassinio, può essere letta anche come un esercizio di dignità professionale, come una forma di rispetto per sé stesso e per la propria professione, ovviamente declinata con un alto grado di idealità. Il coraggio infatti, in tutti i campi della vita, non è non avere paura, ma andare avanti nonostante la paura, gestirla, conviverci e, spesso solo a tratti, dominarla.

L’eroismo che tale vicenda incarna (e nel ricordo della quale ignorare tale concetto, per quanto difficile da maneggiare, appare davvero arduo) crediamo non sia stato quello di un superuomo che non ha paura e va avanti imperterrito, a prescindere da tutto e da tutti. Il suo eroismo, che potremmo definire quotidiano, oltre che “borghese” (anche la felice espressione di Corrado Stajano è imprescindibile) probabilmente è stato quello di chi sapeva che, una volta accettato quell'incarico, un costo altissimo in un caso o nell'altro sarebbe stato pagato.

Ovviamente si tratta di costi elevati ma espressi “in moneta” molto diversa. Da un lato, l’opzione di “non vedere”, di ammorbidire relazioni, valutazioni e … “stati passivi”, abdicando in tal modo ai propri doveri di legge e di etica professionale. Dall’altro, la diversa opzione di fare quello che sapeva essere doveroso (e, forse, per la sua coscienza, imprescindibile), pur conoscendo o immaginando i rischi che ciò comportava.

Siamo convinti che l’idea del dovere che lo ha animato non è stata quella di una cosa pesante e noiosa, un fardello che schiaccia e colora di grigio le giornate, ma semplicemente l’idea del dovere come componente, come parte di un ruolo, di una identità e come l’occasione di dare un contributo, piccolo o grande, per raddrizzare torti ed ingiustizie, per migliorare il mondo intorno.

Chiudiamo queste insufficienti parole con un piccolo brano estratto dall'altrettanto breve testamento morale che la moglie ritrovò, il marito ancora in vita, tra le sue carte:

“Anna carissima, è il 25.2.1976 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della Bpi, atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica (…) I nemici non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie.  Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo che saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali abbiamo sempre creduto (…) Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che ho, verso il Paese, si chiami Italia o si chiami Europa”.

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Non senza timore di mescolare il sacro con il profano, il ricordo della professionalità che ha contraddistinto l’operato di Giorgio Ambrosoli nel campo del diritto fallimentare e della crisi d’impresa, inevitabilmente ci riporta, in questa estate 2019, a due temi che solo all’apparenza potrebbero apparire più profani, nel senso di più “concreti”. Uno, legato alla imminente entrata in vigore del nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e l’altro alla vita professionale nel nostro tribunale.

Sotto il primo profilo, ci riferiamo a quell’obiettivo di modernizzare il nostro Paese che si può leggere tra le righe della riforma Rordorf del diritto fallimentare. La Presidente della Sezione Fallimentare del tribunale di Milano, dott.ssa Alida Paluchowski, nel recente  convegno tenutosi a Rimini il 12 luglio  sulla nuova legge,  ha trattato con grande lucidità e comunicativa anche questo profilo, a cavallo tra la politica economica ed il  diritto dell’economia, evidenziando come questa idea di urgente modernizzazione, del nostro sistema tanto economico che delle imprese, sempre più urgente viste le sfide del mercato globalizzato, poggi anche, se non soprattutto, sull’attivo coinvolgimento dei professionisti in questo campo del diritto, chiamati a svolgere ruoli molto significativi.

Sotto il secondo profilo, ci riferiamo al fatto che il Presidente del tribunale di Rimini, dott.ssa Francesca Miconi, ha finalmente aperto anche all’avvocatura il “ruolo” di curatore fallimentare, di liquidatore e commissario giudiziale nei concordati. In tal modo si è data piena attuazione all’art. 28 della Legge Fallimentare, che dispone che possono essere nominati curatori fallimentari, non solo dottori commercialisti e ragionieri commercialisti, ma anche (se non soprattutto, visto l’ordine con cui le categorie sono elencate dalla norma) gli avvocati.  Tale norma, come è noto, gode di piena applicazione in tanti tribunali italiani, compresi i più grandi, ma evidentemente non in tutti, così come non era, fino a pochi mesi fa, anche nel nostro Foro.

Con la duplice occasione di questa nuova fiducia accordata al ceto forense nel nostro Tribunale, e dell’anniversario sopra ricordato, a titolo personale crediamo sia giunto il momento di intitolare un’aula di giustizia o forse, ancor meglio, la Biblioteca dell’Ordine Forense, alla figura di Giorgio Ambrosoli.

In tal modo, l’Ordine degli Avvocati e il vertice dell’Autorità Giudiziaria del nostro Foro potrebbero compiere un doveroso gesto di gratitudine e di memoria civile condivisa, che si affiancherà all’aula intitolata, giustamente, ai giudici Falcone e Borsellino.

Rimini, 25 agosto 2019

Ivan Bagli

U L T I M O     N U M E R O 2019